''E' il libro di una separazione, di un congedo dall'adolescenza, nel prendere coscienza dell'arco che va da mio padre a mio figlio, come un bel tiro finito in porta'', dice Valerio Magrelli del suo libro in uscita nei prossimi giorni, il tutto attraverso, come dice il titolo, un 'Addio al calcio'.
''Non mi era mai capitato di pensarci, ma qualche anno fa ho smesso per sempre di giocare a pallone - confessa il poeta -. E' come se avessi cambiato sistema respiratorio. Di piu': ho fatto il percorso inverso a quello della farfalla. Io, che vivevo all'aperto, ebbro d'ossigeno, sono rientrato nel nero bozzolo, rinchiuso nell'astuccio di una stanza a macinare chilometri in cyclette''.
Questa presa di coscienza pero' non basta, perche' c'e' anche un altro sostanziale passaggio, proprio dei nostri giorni: ''La riflessione e' iniziata quando ho visto mio figlio giocare al pallone con la PlayStation. Un giocare tutto disincarnato, divenuto astratto essenzialmente visivo. Questo non toglie che con lui giochiamo anche davvero, con la palla di cuoio, e il percorso del libro arriva un po' a come e' giocare con lui e come era giocare con mio padre, in una sorta di specularita'''.
Naturalmente Magrelli, francesista all'universita' di Cassino e poeta affermato ormai da trent'anni, da quando usci' la raccolta 'Ora serrata retinae', e ultimamente autore anche in prosa, si guarda con quell'occhio ironico che dimostra la superiorita' dell'uomo su quel che gli accade: ''E' un addio un po' tragicomico e un po' malinconico, che mi ha portato a ricordare, ricostruire, cercare sino a creare questo collage in novanta 'racconti da un minuto' divisi in due tempi da 45 l'uno, tra pagine mie, aneddoti, brani di libri sul calcio, citazioni e persino taglia-incolla da voci come Calcio Balilla o Subbuteo di Wikipedia. A questo si aggiunge un'attenzione al linguaggio e in particolare a quello avvincente delle telecronache''.
Si incontrano cosi' momenti privati, con una loro valenza generale, in cui ritrovarsi, e aneddoti o storie di vite particolari. C'e' la ''leggenda metropolitana'', come la definisce Magrelli, che tramandano gli storici dell'arte, sul figlio del guardiano dei Musei Vaticani che, nelle ore di chiusura, giocava a pallone nella Cappella Sistina e c'e la scoperta che il portiere della piscina in cui lo scrittore andava da ragazzo e' un vecchio, celebre cannoniere della sua squadra del cuore, la Roma, negli anni Venti, Rudy Volk, come l'osservazione di un'installazione alla Biennale di Venezia, col video di un bambino che palleggia per ore con un teschio. Pagina dopo pagina, assistiamo a una sorta di immersione nell'universo di una passione vissuta e insieme sognata: ''E' quella colonizzazione della mente del tifoso, non solo la domenica, ma tutti i giorni della settimana, cui io vorrei sottrarmi, ma scopro che e' una dipendenza cui non faccio che continuare a girare intorno'', da quando il padre gli insegno' a giocare e da quando, come padre, lo ha insegnato a suo figlio.
Il tutto scritto con quella sobrieta', quel filo di autocoscienza sorridente, quel sentimento che si sente solo sotto le righe, quella capacita' di cogliere con poche parole l'immagine o il pensiero giusto, propria appunto di un poeta passato alla prosa, cui arrivo' pochi anni fa con 'Nel condominio di carne'.
''Proprio dopo quel libro e i piu' lontani versi di 'Esercizi di tiptologia' ho avuto netta la percezione di un senso anfibio del mio esprimermi, tra prosa e poesia'', dice, come confermano le ultime composizioni ''civili, ancora inedite, tra cronaca e poesia'', che ha letto di recente a Sarzana in un incontro intitolato 'Le parole della tribu''.
''Non mi era mai capitato di pensarci, ma qualche anno fa ho smesso per sempre di giocare a pallone - confessa il poeta -. E' come se avessi cambiato sistema respiratorio. Di piu': ho fatto il percorso inverso a quello della farfalla. Io, che vivevo all'aperto, ebbro d'ossigeno, sono rientrato nel nero bozzolo, rinchiuso nell'astuccio di una stanza a macinare chilometri in cyclette''.
Questa presa di coscienza pero' non basta, perche' c'e' anche un altro sostanziale passaggio, proprio dei nostri giorni: ''La riflessione e' iniziata quando ho visto mio figlio giocare al pallone con la PlayStation. Un giocare tutto disincarnato, divenuto astratto essenzialmente visivo. Questo non toglie che con lui giochiamo anche davvero, con la palla di cuoio, e il percorso del libro arriva un po' a come e' giocare con lui e come era giocare con mio padre, in una sorta di specularita'''.
Naturalmente Magrelli, francesista all'universita' di Cassino e poeta affermato ormai da trent'anni, da quando usci' la raccolta 'Ora serrata retinae', e ultimamente autore anche in prosa, si guarda con quell'occhio ironico che dimostra la superiorita' dell'uomo su quel che gli accade: ''E' un addio un po' tragicomico e un po' malinconico, che mi ha portato a ricordare, ricostruire, cercare sino a creare questo collage in novanta 'racconti da un minuto' divisi in due tempi da 45 l'uno, tra pagine mie, aneddoti, brani di libri sul calcio, citazioni e persino taglia-incolla da voci come Calcio Balilla o Subbuteo di Wikipedia. A questo si aggiunge un'attenzione al linguaggio e in particolare a quello avvincente delle telecronache''.
Si incontrano cosi' momenti privati, con una loro valenza generale, in cui ritrovarsi, e aneddoti o storie di vite particolari. C'e' la ''leggenda metropolitana'', come la definisce Magrelli, che tramandano gli storici dell'arte, sul figlio del guardiano dei Musei Vaticani che, nelle ore di chiusura, giocava a pallone nella Cappella Sistina e c'e la scoperta che il portiere della piscina in cui lo scrittore andava da ragazzo e' un vecchio, celebre cannoniere della sua squadra del cuore, la Roma, negli anni Venti, Rudy Volk, come l'osservazione di un'installazione alla Biennale di Venezia, col video di un bambino che palleggia per ore con un teschio. Pagina dopo pagina, assistiamo a una sorta di immersione nell'universo di una passione vissuta e insieme sognata: ''E' quella colonizzazione della mente del tifoso, non solo la domenica, ma tutti i giorni della settimana, cui io vorrei sottrarmi, ma scopro che e' una dipendenza cui non faccio che continuare a girare intorno'', da quando il padre gli insegno' a giocare e da quando, come padre, lo ha insegnato a suo figlio.
Il tutto scritto con quella sobrieta', quel filo di autocoscienza sorridente, quel sentimento che si sente solo sotto le righe, quella capacita' di cogliere con poche parole l'immagine o il pensiero giusto, propria appunto di un poeta passato alla prosa, cui arrivo' pochi anni fa con 'Nel condominio di carne'.
''Proprio dopo quel libro e i piu' lontani versi di 'Esercizi di tiptologia' ho avuto netta la percezione di un senso anfibio del mio esprimermi, tra prosa e poesia'', dice, come confermano le ultime composizioni ''civili, ancora inedite, tra cronaca e poesia'', che ha letto di recente a Sarzana in un incontro intitolato 'Le parole della tribu''.