Un carteggio inedito di Gabriele D'Annunzio (1863-1938) con il conte Emanuele di Castelbarco va ad arricchire l'archivio della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani. Si tratta di 24 lettere autografe, a cui sono uniti 7 telegrammi, 2 lettere dell'avvocato Antonio Masperi, un volantino autografato ''Il Sacco di Fiume'' (datato 11 gennaio 1920), una cartolina autografata datata Fiume 1920 e, tra l'altro, 9 lettere del poeta alla contessa Maria di Castelbarco. La collezione di autografi e' stata acquistata per 18.600 euro ad un'asta della casa Bloomsbury a Roma. La notizia dell'acquisto è stata data all'Adnkronos da Giordano Bruno Guerri, presidente della Fondazione Il Vittoriale.
Il conte Emanuele di Castelbarco, importante uomo di cultura della Milano degli anni Venti del Novecento, lego' il suo nome all'esperienza memorabile de ''La Bottega di Poesia'', la celeberrima casa editrice situata in via Montenapoleone 14, dove tra le altre iniziative ospito' la prima mostra personale della pittrice Tamara de Lempicka nel 1925. Le lettere inedite completano la raccolta epistolare gia' posseduta dal Vittoriale (la residenza monumentale di D'Annunzio sul lago di Garda), contribuendo a ricostruire una straordinaria vicenda di amicizia e passione letteraria.
Le raffinate edizioni dannunziane per bibliofili che uscirono per i tipi di ''La Bottega di Poesia'' nascevano sotto l'egida di una strordinaria simbiosi artistico-ideologica, cui non si oppose neanche il legale detentore dei diritti di D'Annunzio, ovvero l'editore Treves di Milano. ''Mio carissimo Emanuele - scriveva ad esempio D'Annunzio il 29 ottobre 1922, il giorno dopo la marcia su Roma di Mussolini - non è stato difficile il fraterno accordo fra me e Giovanni Bettoni, nei riguardi del mio troppo laborioso e penoso libro. Il mio amico non poteva rendersi conto dello stile (novissimo) imposto alla nostra cooperazione. Siamo due buoni Italiani, io e tu, intenti a fare impresa di propaganda pura. E non abbiamo contratti fra noi. Lavoriamo sotto il vocabolo dello Spirito. Per cio' la Casa Treves amicamente, non si oppone, ne' male interpreta. Da' il suo consenso generoso. E questo consenso sara' da me notato nelle edizioni che tu curi''. In molte lettere D'Annunzio entra nel merito della qualita' della stampa, arrivando a correggere refusi e a suggerire migliorie grafiche.
Le lettere del poeta alla contessa Maria di Castelbarco, moglie dell'editore milanese, si collocano in un periodo precedente, tra 1906 e 1908, e il tono e' decisamente diverso. Scrive ad esempio il Vate il 30 dicembre 1908: ''Cara amica, non oso scrivere una lunga lettera. Nessuna lunghezza sarebbe bastevole. Bisogna che La veda che Le parli. Per avere qualche tregua alle mie afflizioni mi son gettato al lavoro con una violenza frenetica. Tutte le mattine vado a letto verso le sette, dopo dieci ore continue di veglia. Sono devastato dalla febbre e dalla stanchezza. E credo che il mio viso le farebbe pieta'. Spero di terminare fra alcuni giorni. Allora verro' subito a Milano, e senza fallo verrò a cercarla ovunque. Ho fatto tutto, oltre le mie forze, per evitare quel che e' accaduto. Ma Ella conosce l'animo della povera creatura. Nessun raggio, ahimé, ha traversato il viluppo di tante brutte cose. E questa e' la peggior tristezza''. (Adnkronos)
Il conte Emanuele di Castelbarco, importante uomo di cultura della Milano degli anni Venti del Novecento, lego' il suo nome all'esperienza memorabile de ''La Bottega di Poesia'', la celeberrima casa editrice situata in via Montenapoleone 14, dove tra le altre iniziative ospito' la prima mostra personale della pittrice Tamara de Lempicka nel 1925. Le lettere inedite completano la raccolta epistolare gia' posseduta dal Vittoriale (la residenza monumentale di D'Annunzio sul lago di Garda), contribuendo a ricostruire una straordinaria vicenda di amicizia e passione letteraria.
Le raffinate edizioni dannunziane per bibliofili che uscirono per i tipi di ''La Bottega di Poesia'' nascevano sotto l'egida di una strordinaria simbiosi artistico-ideologica, cui non si oppose neanche il legale detentore dei diritti di D'Annunzio, ovvero l'editore Treves di Milano. ''Mio carissimo Emanuele - scriveva ad esempio D'Annunzio il 29 ottobre 1922, il giorno dopo la marcia su Roma di Mussolini - non è stato difficile il fraterno accordo fra me e Giovanni Bettoni, nei riguardi del mio troppo laborioso e penoso libro. Il mio amico non poteva rendersi conto dello stile (novissimo) imposto alla nostra cooperazione. Siamo due buoni Italiani, io e tu, intenti a fare impresa di propaganda pura. E non abbiamo contratti fra noi. Lavoriamo sotto il vocabolo dello Spirito. Per cio' la Casa Treves amicamente, non si oppone, ne' male interpreta. Da' il suo consenso generoso. E questo consenso sara' da me notato nelle edizioni che tu curi''. In molte lettere D'Annunzio entra nel merito della qualita' della stampa, arrivando a correggere refusi e a suggerire migliorie grafiche.
Le lettere del poeta alla contessa Maria di Castelbarco, moglie dell'editore milanese, si collocano in un periodo precedente, tra 1906 e 1908, e il tono e' decisamente diverso. Scrive ad esempio il Vate il 30 dicembre 1908: ''Cara amica, non oso scrivere una lunga lettera. Nessuna lunghezza sarebbe bastevole. Bisogna che La veda che Le parli. Per avere qualche tregua alle mie afflizioni mi son gettato al lavoro con una violenza frenetica. Tutte le mattine vado a letto verso le sette, dopo dieci ore continue di veglia. Sono devastato dalla febbre e dalla stanchezza. E credo che il mio viso le farebbe pieta'. Spero di terminare fra alcuni giorni. Allora verro' subito a Milano, e senza fallo verrò a cercarla ovunque. Ho fatto tutto, oltre le mie forze, per evitare quel che e' accaduto. Ma Ella conosce l'animo della povera creatura. Nessun raggio, ahimé, ha traversato il viluppo di tante brutte cose. E questa e' la peggior tristezza''. (Adnkronos)