Si riapre il giallo su una scultura in passato attribuita a Michelangelo ed esposta al pubblico, fino al 15 agosto in Svezia in occasione della mostra 'And there was light. The masters of the Renaissance' (E luce fu. I maestri del Rinascimento), che presenta opere di Leonardo, Raffaello e dello stesso Michelangelo. L'opera, di cui dà notizia la stampa svedese sottolineando la nuova attenzione degli studiosi, è identificata come l''Arrotino Lanfranchi', anticamente ricordata a Pisa come ''fatta dalli scalpelli di Michel'Angelo'', riscoperta in Inghilterra ed ora esposta al pubblico per la prima volta dopo 120 anni all'Eriksbergshallen di Goteborg.
Si tratta di una versione in pietra della golfolina (cioè delle antiche cave che si trovano sull'Arno, sotto la Villa Medicea di Artimino, nel comune di Carmignano) della scultura in marmo dell''Arrotino' (copia romana del I sec. a.C. da un originale ellenistico), conservata agli Uffizi, spiega il professor Alessandro Vezzosi, direttore del Museo Ideale Leonardo da Vinci, uno dei curatori della mostra di Goteborg.
La scultura era ricordata nel 1751 a Pisa in Palazzo Lanfranchi (oggi sede dell'Archivio di Stato) da Pandolfo Titi. Nel 1878 divenne di proprietà di Francesco Masi come opera ''di scuola o fattura di Michelangelo'' e successivamente fu trasferita nella villa di Capannoli, che nel 1939 divenne proprietà Gotti-Lega. L'allora soprintendente Nello Tarchiani suggerì come autore dell'Arrotino il nome del Montorsoli o di Baccio da Montelupo.
Alla metà degli anni Settanta, quando l'opera fu dispersa, il critico d'arte Alessandro Parronchi annotò la presenza dell''Arrotino Lanfranchi' nel mercato antiquario romano e propose come autore il nome del Giambologna o del Tacca. L'opera in mostra a Goteborg è presentata da una scheda di Flavia Zisa, archeologa e storica dell'arte antica, docente alla Facoltà di Archeologia dell'Università Kore di Enna, che ne ricostruisce le vicende, riprendendo l'attribuzione tradizionale ''scuola o fattura di Michelangelo'' (ovvero alla cerchia del Buonarroti o allo stesso maestro).
''La statua dell'Arrotino manca del naso e di due dita della mano destra. A prima vista la cosa mi incuriosiva: il fatto che mancasse del naso e di altre parti poteva essere un espediente per conferire all'opera un aspetto più antico'', ha detto la professoressa Flavia Zisa, secondo la quale la scultura mostra agli studiosi e al pubblico ''i molteplici riferimenti allo stile di Michelangelo, in particolare le forme anatomiche, fino all'apparato decorativo che ricorda quello della figura di Lorenzo nelle Cappelle Medicee a Firenze''.
Durante le sue ricerche, Zisa ha scoperto un testo del 1751 che parla di alcune sculture in pietra sui monumenti pisani. Più precisamente in una descrizione di Palazzo Lanfranchi l'autore, Pandolfo Titi, scrive che durante i lavori di costruzione del palazzo, Michelangelo Buonarroti lavorò a una statua dell'Arrotino, copia di un originale classico, presente nella Tribuna della Galleria de' Medici, ovvero agli Uffizi.
''Sono incline a pensare che la statua nata dallo scalpello di Michelangelo, fatta in pietra della Golfolina, tira fuori meglio la morbidezza della carne … e dopo ha rappresentato una bella figura di Arpia per una fontana...'', scriveva il Titi.
Anche per Alessandro Vezzosi, direttore del Museo Ideale Leonardo da Vinci e direttore artistico della mostra svedese, ''non ci sono dubbi sul fatto che la scultura dell'Arrotino sia la statua di cui parlava il Titi''. La descrizione di quest'ultimo appare corretta quando si riferisce alla grigia pietra della Golfolina, il grande masso menzionato anche da Leonardo da Vinci nel Codice Leicester in una gola dell'Arno nel comune di Carmignano.
Vezzosi pensa che ''ulteriori ricerche e confronti sulla scultura dell'Arrotino, finalmente esposta, e sul suo contesto d'origine porteranno a significative riscoperte''. Palazzo Lanfranchi fu venduto nel 1827 senza le due statue dell'Arrotino e dell'Arpia, che furono prima mostrate nel Museo del Bargello nel 1888 e poi finirono, separatamente, sul mercato antiquario.
La statua dell'Arpia (di autore imprecisato nel testo settecentesco di Titi) fu attribuita al Tribolo (collaboratore di Michelangelo e grande artefice nei giardini medicei) e fu presentata in diverse esposizioni a Palazzo Strozzi. Diversa fu invece la sorte dell'Arrotino, di cui fu autorizzata l'esportazione e finì dimenticato all'estero, fino alla recente riscoperta in Inghilterra. (Adnkronos)
Si tratta di una versione in pietra della golfolina (cioè delle antiche cave che si trovano sull'Arno, sotto la Villa Medicea di Artimino, nel comune di Carmignano) della scultura in marmo dell''Arrotino' (copia romana del I sec. a.C. da un originale ellenistico), conservata agli Uffizi, spiega il professor Alessandro Vezzosi, direttore del Museo Ideale Leonardo da Vinci, uno dei curatori della mostra di Goteborg.
La scultura era ricordata nel 1751 a Pisa in Palazzo Lanfranchi (oggi sede dell'Archivio di Stato) da Pandolfo Titi. Nel 1878 divenne di proprietà di Francesco Masi come opera ''di scuola o fattura di Michelangelo'' e successivamente fu trasferita nella villa di Capannoli, che nel 1939 divenne proprietà Gotti-Lega. L'allora soprintendente Nello Tarchiani suggerì come autore dell'Arrotino il nome del Montorsoli o di Baccio da Montelupo.
Alla metà degli anni Settanta, quando l'opera fu dispersa, il critico d'arte Alessandro Parronchi annotò la presenza dell''Arrotino Lanfranchi' nel mercato antiquario romano e propose come autore il nome del Giambologna o del Tacca. L'opera in mostra a Goteborg è presentata da una scheda di Flavia Zisa, archeologa e storica dell'arte antica, docente alla Facoltà di Archeologia dell'Università Kore di Enna, che ne ricostruisce le vicende, riprendendo l'attribuzione tradizionale ''scuola o fattura di Michelangelo'' (ovvero alla cerchia del Buonarroti o allo stesso maestro).
''La statua dell'Arrotino manca del naso e di due dita della mano destra. A prima vista la cosa mi incuriosiva: il fatto che mancasse del naso e di altre parti poteva essere un espediente per conferire all'opera un aspetto più antico'', ha detto la professoressa Flavia Zisa, secondo la quale la scultura mostra agli studiosi e al pubblico ''i molteplici riferimenti allo stile di Michelangelo, in particolare le forme anatomiche, fino all'apparato decorativo che ricorda quello della figura di Lorenzo nelle Cappelle Medicee a Firenze''.
Durante le sue ricerche, Zisa ha scoperto un testo del 1751 che parla di alcune sculture in pietra sui monumenti pisani. Più precisamente in una descrizione di Palazzo Lanfranchi l'autore, Pandolfo Titi, scrive che durante i lavori di costruzione del palazzo, Michelangelo Buonarroti lavorò a una statua dell'Arrotino, copia di un originale classico, presente nella Tribuna della Galleria de' Medici, ovvero agli Uffizi.
''Sono incline a pensare che la statua nata dallo scalpello di Michelangelo, fatta in pietra della Golfolina, tira fuori meglio la morbidezza della carne … e dopo ha rappresentato una bella figura di Arpia per una fontana...'', scriveva il Titi.
Anche per Alessandro Vezzosi, direttore del Museo Ideale Leonardo da Vinci e direttore artistico della mostra svedese, ''non ci sono dubbi sul fatto che la scultura dell'Arrotino sia la statua di cui parlava il Titi''. La descrizione di quest'ultimo appare corretta quando si riferisce alla grigia pietra della Golfolina, il grande masso menzionato anche da Leonardo da Vinci nel Codice Leicester in una gola dell'Arno nel comune di Carmignano.
Vezzosi pensa che ''ulteriori ricerche e confronti sulla scultura dell'Arrotino, finalmente esposta, e sul suo contesto d'origine porteranno a significative riscoperte''. Palazzo Lanfranchi fu venduto nel 1827 senza le due statue dell'Arrotino e dell'Arpia, che furono prima mostrate nel Museo del Bargello nel 1888 e poi finirono, separatamente, sul mercato antiquario.
La statua dell'Arpia (di autore imprecisato nel testo settecentesco di Titi) fu attribuita al Tribolo (collaboratore di Michelangelo e grande artefice nei giardini medicei) e fu presentata in diverse esposizioni a Palazzo Strozzi. Diversa fu invece la sorte dell'Arrotino, di cui fu autorizzata l'esportazione e finì dimenticato all'estero, fino alla recente riscoperta in Inghilterra. (Adnkronos)